Wilma, la prova costume! (Ma anche la clava, insomma…)

Da quando vivo da sola, ho avuto 34 coinquilini. Di tutti i tipi. C’erano amanti dei gatti, maniaci della vodka, giovani esploratori, aspiranti giardinieri e  fan del duce. In Belgio dividevo il bagno con otto persone. Nella mia prima casa a Berlino mi ritrovai con due austriache adorabili e cinque armene psicopatiche che andavano a lavoro di notte in minigonna sui pattini. Ho avuto la fortuna strabiliante di trascorrere ben tre settimane con una simpatica fanciulla isterica munita di amante sessantenne. In un palazzo pieno di bimbi turchi, che giocavano in cortile 24 ore su 24.

Un giorno sono tornata a casa e i miei coinquilini belgi, simpatici energumeni da 90 kg l’uno, guardavano in tv il matrimonio di William e Kate, commentando gli outfit degli invitati e spettegolando al telefono con le mamme. Gli stessi coinquilini davano feste per gente che non conoscevano e dormivano in corridoio almeno due volte la settimana, perché da ubriachi non riuscivano ad aprire la porta delle loro stanze.

Avevamo una cucina con divano sfondato. La pulivo solo io quella cucina.

Ho avuto anche coinquilini straordinari, per carità. Attualmente convivo con delle ragazze deliziose, ho diviso appartamenti con le mie migliori amiche e ho conosciuto grandi amiche condividendo appartamenti. Sulle mie esperienze di coinquilinaggio, però, potrei scrivere un libro. Che diventerebbe un best seller tra gli psichiatri desiderosi di fare pratica.

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Gli alieni, i vegani e la P2

I film americani, così scontati e rassicuranti, sono stati inventati da qualcuno che sapeva benissimo cosa si prova durante le domeniche di hangover; quando la vita è insostenibile, quando la depressione incombe, quando va tutto, ma veramente tutto malissimo, non c’è nulla di meglio di un bel film che dal primo fotogramma fa capire chi sono i cattivi, chi sono i buoni e chi vincerà.

Ho sempre pensato che i colossal hollywoodiani potessero essere l’unico balsamo per il mio animo malato MA fortunatamente la vita ha voluto farmi una sorpresa, mettendomi sulla strada l’antidepressivo definitivo: BLU NOTTE.

Cosa c’è di rassicurante in Lucarelli che mi racconta stragi, attentati e delitti delle bestie di Satana? Proprio niente, in verità. Però vi giuro che le musichette inquietanti, quello studio blu, quel linguaggio finto tecnico che conquisterebbe senza problemi la casalinga di Voghera hanno preso il sopravvento sulla mia psiche. Non c’è nulla da fare, sono entrata nel tunnel, sto scrivendo lettere alla Rai perché non possono cancellare Blu Notte ora che ho scoperto che non posso farne a meno.

Cosa accadrà adesso? Riceverò degli aiuti statali in quanto affetta dalla terribile patologia “vedo brigatisti seduti sui tram della BVG“? Finirò mai di dividere i miei contatti di Facebook in “mafiosi, spie americane, iscritti alla P2”? Quanto è grave da 1 a 10 sognare di poter dire “sono un prigioniero politico”? Sopravviverò domani o morirò nella strage di Fiumicino? E chi racconterà la mia storia alle casalinghe di Voghera ora che Lucarelli non c’è più?

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