Giovedì, alla stazione di Pankow, ho incontrato Eleni; o almeno, mi sembra si chiamasse Eleni. Ma era lei. Ci eravamo conosciute quest’estate in una piccola casa sulla Breite Straße, con una stanza piena di mobili in legno e una cucina minuscola con le lucine di Natale. Abbiamo parlato una mezz’ora scarsa, giusto il tempo di capire che eravamo un po’ agli antipodi. Ma ricordo benissimo quel pomeriggio di luglio, il suo vestito viola con i fiori rossi, e la finestra con la stella di Natale da cui si vedeva il Bürgerpark Pankow. Ho deciso di farci un giro, perché non ci vado mai.
Giovedì era festa, il cielo era grigio, ma c’erano tantissimi bambini che giocavano nei prati; c’erano anche un sacco di cani, e si rincorrevano. I ciliegi non erano più in fiore, ma nel piccolo portico con le sedie bianche c’erano le rose rosse e un gruppo di vecchietti che fissavano il vuoto. Un ragazzo leggeva il giornale.
Dal ponticello alla fine del Bürgerpark Pankow si vede un prato, il fiume e una specie di fattoria con due asinelli; giovedì dei ragazzini si erano tolti le scarpe per bagnare i piedi nel fiume. Faceva freddo, era grigio, e la scena sembrava estremamente poetica. Una bambina sedeva concentrata e raccoglieva margherite.
Ho camminato per dei vicoli pieni di palazzi rosa e bianchi, antichi ed eleganti. Ho camminato senza incontrare nessuno, poi sono finita sulla Florastraße. La frutteria della signora che mi ha spiegato cosa è il quark era chiusa. Ma c’erano diversi bar aperti, vuoti e un po’ malinconici. Il giorno in cui avevo visto la casa di Eleni c’era la festa di Florastraße, con una valanga di fanciulli biondi che vendevano limonate. Come nei film americani. Quel giorno c’era un palco su cui ballavano delle ragazze che frequentano la scuola di danza con le tende rosse all’entrata del Bürgerpark Pankow; ballavano il valzer dei fiori di Tchaikovsky con dei tutù lunghi sui toni del verde scuro.