Le diapositive delle vacanze

Agosto, quattordicesimo giorno di navigazione, anno del signore 2019. Ho quasi perso il gattino perché sono stata qualche giorno in vacanza, rischio di perderlo per sempre perché domani ripartirò con le mie amiche. Dopo anni che non passavo più di due giorni al mare finalmente, nel giro di un mese, ci andrò per ben due volte (con grande gioia della signora dell’atelier che si era raccomandata di “evitare segni dell’abbronzatura e del costume”. Sono ancora bianchissima, eppure ho un segno del costume). Con evidente soddisfazione continuo a fare traversate al sud manco fossi Salvini.

Nell’ultima manciata di giorni mi è un po’ tornato il panico da foglio bianco. Domenica mi annoiavo, ho gettato alle ortiche la dieta di gattaccio rimpinzandolo di scatolette (che lui ha prontamente divorato). Sono uscita e sulla Tuscolana non c’era nessuno (40 gradi, negozi chiusi, asfalto rovente: visualizzare l’orrore). Ho provato ad andare al parco ed era pattugliato da un gruppo di gente vestita come io mi immagino siano vestiti gli ultras della Lazio. Unico esercente aperto (con tanto di musica tamarra): il cocomeraro. In libreria, tra le novità, c’era un libro della mia pseudo prof di francese al liceo.

Da lunedì mi crogiolo tra letti e divani: trovo faticosa qualunque attività che non sia guardare vecchie stagioni di Master Chef (e pensare che quando Bastianich sputava i piatti e voleva darli “a suo cane” il mondo era un posto migliore), leggere articoli sul nuovo partito di Briatore, inveire contro Damilano durante le maratone Mentana, fare le vasche sul corso di Genzano, comprare cose inutili per il mio matrimonio su Amazon.

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Il giorno dopo l’ultimo giorno di scuola

Oggi è il mio primo giorno di vacanza: mi sono svegliata alle sei perché faceva caldo, non riuscivo a dormire e qualcuno aveva deciso di percorrere qualche chilometro di Tuscolana suonando il clacson senza soluzione di continuità. Mentre gattaccio si esibiva nel suo numero preferito (grattare le porte e miagolare in modo fastidioso solo per farsi aprire – gattaccio percepisce le mie vibrazioni “sono sveglia e odio il mondo” anche a distanza – gattaccio ha una fanbase e questo blog me lo ha rivelato: io non ho alcun fiuto per gli affari e in questi mesi potevo farci i soldi), mi sono concentrata sui rumori della strada e ho pensato per la prima volta ai miei ultimi due anni trascorsi a Roma.

Sembrerà assurdo eppure io, la donna delle elucubrazioni mentali che nel suo piccolo cervello trasforma in un romanzo ogni singolo avvenimento, non ho mai avuto tempo di riflettere sulla mia vita di giovane adulta nella capitale. Nella città da cui fuggivo, dove mai e poi mai avrei voluto rimettere piede a 18 anni; è stato tutto molto strano. Mi sono trasferita qui in fretta e furia, quasi senza rendermene conto; nei weekend, in genere, cercavo la fuga e non ho mai provato davvero a costruirmi una nuova vita qui (forse perché avevo già degli amici e non volevo fare troppa fatica?).

Non ho mai ambito a trasferirmi a Roma: sono una ragazza di provincia che l’ha sempre guardata da lontano, un po’ ammirata, un po’ schifata. Mi piacciono i centri piccoli, se proprio, le grandi metropoli organizzate bene, cosmopolite e piene di cose: non che Roma non sia piena di cose. Ma per scovarle devi faticare tantissimo e io non ne ho mai avuto troppa voglia. Continuo a sentirla un po’ estranea, continuo a sentirmici “temporanea e in prestito”; la vedo ancora come una zia lontana, invadente e un po’ cialtrona, che devo andare a trovare per spirito di cortesia.

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