La leva hockeistica del ’68

Per trent’anni  di vita ho concepito come unica forma di sport le discipline ammesse ai giochi olimpici estivi. Poi un bel giorno ho iniziato a lavorare a Bolzano e ho scoperto che al mondo c’era davvero gente appassionata agli sport invernali. Ora. Nella mia personale scala di valutazione, gli sport più affascinanti sono quelli semplici, con poche regole, con poca attrezzatura. 

Gli sport invernali, in media, di attrezzatura ne richiedono tanta. Già qui il mio cervello tirerebbe una linea: eppure col tempo ho imparato ad apprezzarli. Ho vinto le mie resistenze verso lo sci (devi scendere velocissimo, vince chi lo fa in meno tempo), verso lo slittino (come sopra, ma con la slitta),  verso il pattinaggio (è come correre), verso il pattinaggio di figura (è come ballare), verso il biathlon (fai fondo poi spari), persino verso il curling (che alla fine si pone in modo simpatico, quasi come un fenomeno di costume). 

Solo uno sport resiste – granitico – a ogni mio tentativo di apprezzamento: l’hockey sul ghiaccio. Io ci ho provato, ma troppe variabili turbano il mio equilibrio. Non è uno sport popolare, ma vogliono vendertelo come tale. Per seguirlo, serve una laurea. Per praticarlo devi avere i soldi, ma non ha il fascino di uno sport per ricchi.

Con quest’analisi potrei rischiare il posto di lavoro ma in fondo, per lavoro, dovrei mettermi contro i poteri forti. Quindi, senza paura delle lobby, procederò a esporre la mia tesi per punti.

Continua a leggere