Does it spark joy?

Due anni fa, mese in più, mese in meno, sono stata al Reina Sofia e ho visto un’opera che ancora oggi continua a tornarmi in mente. C’era una sala quasi vuota e al centro, sotto una splendida luce plastica, una sedia piena di abiti. Sembrava quella della mia stanza di allora (rip appartamento in cui vivevo con la padrona di gattaccio) nei venerdì di messa in onda, quando per giorni non mi degnavo nemmeno di rimettere le magliette nel cassetto.

Da ragazzina, in casa con i miei, non potevo lasciare in giro nemmeno un calzino. Spargere i vestiti sulle sedie, sul letto, è stato il primo atto di ribellione della mia vita adulta. Ogni tanto mi capita di farlo ancora.

Mi piacerebbe essere più ordinata, ma il fatto è che mi piace troppo trovarmi la montagna davanti. Ridurmi all’ultimo. Dover scavare. Fare l’impresa per rimettere ogni cosa al suo posto. La gradualità non mi appassiona, preferisco rimandare. Impazzisco per la missione impossibile, per la ricerca infinita che mi fa scovare la perla nascosta e dimenticare le maledizioni che mi sono auto-inflitta mentre provavo a venirne a capo.

Credo sia per questo che cerco cose online aprendo decine di finestre. Scarico documenti che potrei non leggere mai. Ottengo grandi risultati se sono sotto pressione. Accumulo, ripulisco. Arrivo al nocciolo della questione con la sensazione di aver scalato l’Everest. Di aver provato a fare il meglio.

Sono anni che mi scompiglio la vita, per cercare di rimetterla in ordine.

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