Fino a poco più di due mesi fa (il tempo vola), la prima cosa che facevo al mattino era tirare su le tapparelle, e guardare che tempo c’era fuori; quando vivevo a Bolzano, c’erano solo due tipi di giornate: quelle in cui il mondo era Bruco, e quelle in cui avrei fatto meglio a tornare a letto. La definizione azzurro bruco l’abbiamo inventata io e le mie amiche, o almeno, così mi piace credere.
Le prendevo sempre in giro, perché si stupivano di quanto spesso ci fosse il sole in quella piccola città infossata tra le montagne; mettiamola così, mi servivano un “c’avete solo la nebbia” su un piatto d’argento. Era vero, però, c’era spesso il sole. E quando c’era il sole, il cielo era azzurrissimo. Come credo di averlo visto solo poche volte. Faceva male andare in biblioteca; faceva malissimo, avere un problema, perché quando ero depressa a Bolzano, la bellezza della natura sembrava prendersi gioco di me, invece che tirarmi su.
Una passeggiata in hangover sui prati del Talvera ti lascia solo in superficie un senso di pace, perché dentro, se hai problemi, scava in profondo, con una nostalgia struggente che ha del sublime… ma che fa soffrire. Se mi sento depressa a Berlino (cosa che non succede troppo spesso), e prendo una u-bahn/s-bahn a caso, mi sembra di riempirmi di mondo. Vago tra la gente, mi sento sola e e parte di un qualcosa di più grande, perché in fondo è come se fossimo tutti soli,e uniamo le nostre solitudini in questa quotidianità che in ci fa sentire più vicini, nella nostra enorme lontananza.