Azzurro Bruco

Fino a poco più di due mesi fa (il tempo vola), la prima cosa che facevo al mattino era tirare su le tapparelle, e guardare che tempo c’era fuori; quando vivevo a Bolzano, c’erano solo due tipi di giornate: quelle in cui il mondo era Bruco, e quelle in cui avrei fatto meglio a tornare a letto. La definizione azzurro bruco l’abbiamo inventata io e le mie amiche, o almeno, così mi piace credere.

Le prendevo sempre in giro, perché si stupivano di quanto spesso ci fosse il sole in quella piccola città infossata tra le montagne; mettiamola così, mi servivano un “c’avete solo la nebbia” su un piatto d’argento. Era vero, però, c’era spesso il sole. E quando c’era il sole, il cielo era azzurrissimo. Come credo di averlo visto solo poche volte. Faceva male andare in biblioteca; faceva malissimo, avere un problema, perché quando ero depressa a Bolzano, la bellezza della natura sembrava prendersi gioco di me, invece che tirarmi su.

Una passeggiata in hangover sui prati del Talvera ti lascia solo in superficie un senso di pace, perché dentro, se hai problemi, scava in profondo, con una nostalgia struggente che ha del sublime… ma che fa soffrire. Se mi sento depressa a Berlino (cosa che non succede troppo spesso), e prendo una u-bahn/s-bahn a caso, mi sembra di riempirmi di mondo. Vago tra la gente, mi sento sola e e parte di un qualcosa di più grande, perché in fondo è come se fossimo tutti soli,e uniamo le nostre solitudini in questa quotidianità che in ci fa sentire più vicini, nella nostra enorme lontananza.

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Insonnia costruttiva

Di solito, quando la domenica mattina non riesco più a dormire, e mi sveglio alle 7 e mezza con meno di due ore di sonno alle spalle, il piano è il seguente: scegli un posto, raggiungilo, stancati, torna a casa e dormi. Questa simpatica digressione sulla mia tabella di marcia domenicale (che per un motivo o per un altro, non rispetto quasi mai, comunque) serviva solo ad introdurre questa, di domenica mattina: piove, ho già preso troppa pioggia, mi annoio, che faccio?

Ce lo avete davanti agli occhi il risultato. Ecco, ora mi devo confessare. Non è che la decisione di prendermi un angolo della rete per annoiare il mondo sia stata puramente casuale; io bramo un blog dai tempi di myspace (non so quale divinità del buon gusto abbia salvato la comunità da una simoblogger quindicenne, ma per favore, veneratela), ma non ne ho mai aperto uno per un motivo, fondamentale: ho paura di “sbattermi in piazza”, perché scrivo da sempre, e ho sempre scritto solo per me. E credo veramente di saper scrivere. Lo so che non si vede, ma temo di essere una delle persone più insicure di questa terra: ci sono pochissime cose che mi piacciono di me, e una di queste, è il modo in cui uso le parole. Mi piace vederle viaggiare, uscire dalla mia testa, prendere vita su un foglio, cartaceo o virtuale; sono eleganti, mi coccolano, mi fanno paura a volte… non so gestirle così, quando parlo.

Ho il terrore che, leggendomi, qualcuno possa uscirsene con un “tesoro, scendi sulla terra, non sei capace”; per paura di essere giudicata, per paura di “perdere” ciò che mi rende più felice, mi sono trincerata per anni dietro un “non voglio essere l’ennesima bloggerminchia della rete”. Che poi non fraintendetemi, so benissimo che ci sono un sacco di blog favolosi in giro, che leggo, che ammiro, da cui vorrei imparare e carpire segreti. Ho solo paura che il mio resterebbe al livello di quelli che mi sono ritrovata a deridere per lavoro.

Da qualche tempo realizzo che spesso, quando i miei amici mi chiedono di “raccontare qualcosa“, non so cosa raccontare… anche se invece, durante il giorno, mi sono successe tante cose belle, che mi sono anche annotata, per poterne scrivere dopo. Sul momento però, non mi viene in mente nulla; apri un blog, mi ha detto qualcuno, un tot di giorni fa. “No, dai, un blog ce l’hanno tutti”, credo di aver risposto.

Stamattina, mi sono svegliata pensando “che crepino, le mie paranoie, io voglio un blog, basta lo apro”. Parto piccola e modesta, senza dominio, senza ambizioni, sbattendomene della grafica, ma nella mia mente schizzano sogni in cui ho sessioni in tutte le lingue che parlo, e anche in quelle che non parlo ancora. Però non vi assicuro nulla, magari mi annoio e lo mollo lì… ma in teoria questa mia piccola follia, che avrei dovuto fare da anni, è per me e per voi. Se vi va di sapere cosa mi succede, se vi va semplicemente di ascoltare i miei deliri, potete farlo qui, a rate, senza aspettare una mail con allegato Word di 5 pagine. Al mio sogno di infanzia, quindi, vediamo cosa ne esce!