Di fine, di inizio

Ci sono frasi che ti cambiano la vita.

“Comici domani”, “Non ti possiamo assumere”, “Ti amo”, “Devi cambiare casa”.  “Con i poteri conferitimi dalla legge la proclamo dottoressa in Economia e Scienze Sociali”. “We very much enjoyed speaking to you and think that you would be a great match for our  team”.

“Con i più vivi complimenti Le comunico che è stato/a ammesso/a a partecipare al dodicesimo Corso biennale 2014-2016 in Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia”. 

Quando entro in una nuova fase vivo in un mix di entusiasmo e paura, che mi fa saltellare in tondo e mi paralizza le gambe. Tutto insieme. Da bambina piangevo sempre per la fine delle cose. Ho pianto all’asilo, alle elementari, in terza media, anche se odiavo tutto. Ho pianto passando dai Lupetti al Reparto, dal Reparto al clan, all’ultima route, durante  i passaggi del primo branco in cui facevo servizio.

Piangevo alla fine dei saggi di danza, alla fine delle vacanze, alla fine dei libri che mi piacevano tanto. Forse ho pianto anche al liceo, non lo ricordo bene. Poi, vorticosamente, ho iniziato a cambiare posti, amici, affetti, stanze, mobili, cose che mi piacevano. Mia madre mi chiedeva “quanto hai pianto dopo la laurea” e non avevo pianto per niente. Mi stavo abituando all’idea che alla fine di ogni fase ne inizia un’altra che può essere più bella. Che la fine è una chiusa doverosa, vuol dire che è ora di impegnarsi in qualcosa di nuovo.

Penso che questo significhi crescere. 

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