Mi sono sposata a tema Trenitalia: questo post, di conseguenza, non poteva che arrivare in ritardo. Ci ho messo un po’ anche a comporlo perché ero sotto messa in onda, a essere sincera, ho fatto fatica a selezionare le cose da metterci dentro. Perché è passato un po’, ma mi sembra come cristallizzato nel tempo. Perché avrei tanto da dire e non so proprio da dove cominciare. Perché a volte le parole non bastano. E se provi a tradurre la felicità, corri il rischio di risultare banale.
Ci sono come delle cartoline che ho stampato davanti agli occhi. A un certo punto, sull’altare, ho abbracciato fortissimo Elisabetta che era lì, col suo pancione da ultimi giorni di gravidanza e il suo vestito meraviglioso, e io non capivo come fosse possibile che avesse fatto una cosa talmente grande per starmi accanto. In un momento imprecisato della serata è arrivata Giulia, direttamente da un’altro matrimonio, dopo non so quante ore di macchina, e forse non siamo nemmeno riuscite a farci una foto insieme. Per tutto il giorno volevo piangere, ma era come se la felicità mi invadesse superando persino la commozione. Mi sentivo in trance. Mentre adesso, se penso a mio nonno che si china per sistemarmi lo strascico, mi trasformo istantaneamente in una fontana.
Ne approfitto per dirvi che avevo uno strascico; e un velo lunghissimo. E un vestito talmente vaporoso che avrebbe potuto tranquillamente fare provincia. Io che volevo sposarmi con i pantaloni; o col tailleur e il cappello da diva, come Bianca Jagger.